L’ingratitudine è motivo di revocabilità della donazione?
Con sentenza n. 23077/2018 del 26 settembre 2018 la Seconda Sezione della Corte di cassazione ha affermato che non costituiscono presupposto necessario per la revocabilità della donazione per ingraditudine le legittime iniziative a tutela del bene donato, costituenti esercizio del diritto di proprietà del donatario, non potendo essere causa di grave pregiudizio, dolosamente arrecato, al patrimonio del donante se non quando il donatario se ne serva per conseguire vantaggi ingiusti, ossia abnormi o diversi dal risultato ottenibile con l’esercizio del diritto. In ogni caso il pregiudizio arrecato al patrimonio del donante, per effetto di atti ispirati soltanto dall’animosità e dall’avversione maturate nei suoi confronti, con il deliberato proposito di danneggiarlo, rileva solo se “grave”, per la cui valutazione deve tenersi conto della situazione economica dello stesso.
Inoltre, la Corte ha ribadito, quanto al diverso ed alternativo presupposto necessario ex art 801 c.c. per la revocabilità di una donazione per ingratitudine, che la nozione di “ingiuria grave”, pur mutuando dal diritto penale la sua natura di offesa all’onore ed al decoro della persona, richiede che il comportamento del donatario esprima un durevole sentimento di disistima delle qualità morali e di irrispettosità della dignità del donante, contrastanti con il senso di riconoscenza che, secondo la coscienza comune, dovrebbero invece improntarne l’atteggiamento, secondo una formula aperta ai mutamenti dei costumi sociali . La pronuncia fornisce una illuminante chiave interpretativa del dato letterale scarno ed essenziale dell’ art 801 cod. civ., fornendo i parametri per la valutazione, in concreto, dell’idoneità o meno di un dato comportamento a far venir meno gli effetti della donazione, che non può non tener conto del contesto e delle caratteristiche delle parti, oltre che alle ragioni che hanno determinato l’iniziativa revocatoria.